BOLOGNA. Divieto di dimora nella Città metropolitana di Bologna per sei attivisti – tra cui il nostro compagno Tiziano di Luzzana (bg9 che vive e lavora a Bologna – a ottobre scorso insieme ad altri furono sgomberati perché occuparono illecitamente uno stabile, per dare alloggio a persone e famiglie sfrattate.
Il documento dei 6 attivisti
Proprio perché abbiamo viaggiato più volte in Ucraina per vedere con i nostri occhi la guerra e la resistenza. Proprio perché viviamo nella regione con l’aria più inquinata d’Europa. Proprio perché stiamo vivendo sulla nostra pelle l’allontanamento dalla nostra città per motivi politici. Non diremo cose come: in Italia non si può più manifestare liberamente; non c’è alternativa alla crisi climatica; la guerra nucleare ci distruggerà tutt*. Non diremo che abbiamo raggiunto il punto di non ritorno. Il catastrofismo e il vittimismo sono privilegi che non ci appartengono.
Vogliamo raccontare la repressione che stiamo subendo per farci nuove domande insieme su come si cambia questa società, democratici e ribelli. La punizione che ci hanno inferto è l’attacco ad un progetto politico.
Siamo 6 attivisti, cittadini bolognesi. Martedì 27 febbraio 2024 siamo stati allontanati dalla città metropolitana di Bologna con un divieto di dimora – di fatto un confino politico fascista – perché considerati socialmente pericolosi per esserci schierati e aver difeso un’occupazione a scopo abitativo, dove viveva chi una casa non l’aveva. Nello specifico, parliamo dell’occupazione dell’Istituto Santa Giuliana, in via Mazzini 90, in pieno centro città, di proprietà della Chiesa e illo tempore in vendita. Occupata il 6 ottobre e sgomberata con grande violenza della polizia il 17 ottobre 2023.
Durante l’occupazione abbiamo scoperto che l’acquirente dell’Istituto era Aedes s.r.l., una holding immobiliare legata a Comunione e Liberazione. Presumibilmente, lo stabile in questione andrà in gestione a Camplus, la più grande rete di student housing in Europa, e diverrà l’ennesimo studentato privato della città di Bologna. Nel frattempo, più di 40 persone avevano trovato casa in via Mazzini e la lista di persone che avevano espresso necessità allo sportello organizzato per raccogliere le esigenze, contava più di 100 persone: studentesse e studenti fuorisede e internazionali, lavoratori della logistica, drivers, riders, lavoratrici della ristorazione e del sociale, precari/e sociali della città della conoscenza e nell’indotto del Tecnopolo. Questo mosaico di vite differenti è il sintomo di un evidente problema sociale. Punto e a capo.
Siamo accusati di essere i capi dell’occupazione. Lo siamo? Certo che no.
Il mosaico si tiene insieme grazie ai Municipi Sociali. Non 6 capi ma centinaia di persone schierate politicamente che ogni giorno fanno attività sociale radicata nel territorio. Il segreto di Pulcinella è che noi siamo sei attivisti riconosciuti dei Municipi Sociali, ma questo è solo un motivo in più per indignarsi, nulla cambia al progetto politico. Altr* attivist* stanno già nascendo.
Ma veniamo al sodo. Nei Municipi Sociali ci si incontra non solo per risolvere i propri problemi ma per condividere le ambizioni e i desideri su come vorremmo la città: una città più giusta, più verde, più accogliente, più tech, più lenta e accessibile, più resistente ai venti di guerra, più confederata con altre città europee e meno razzista. Il progetto è chiaro.
Ribelli e democratici insieme cospirano per un futuro diverso. Siamo stati allontanati da Bologna, con il pretesto dello sgombero del Santa Giuliana, per indebolire e dare un segnale a questo programma di trasformazione della società.
Il nostro confino fascista sarebbe passato inosservato, come spesso è accaduto negli anni in cui è stata applicata questa misura. Ma la storia si è rimessa in cammino e infatti succedono cose impreviste.
Proprio mentre la DIGOS ci svegliava nelle nostre case il paese iniziava a parlare di Polizia, conflitto, ribellione e dissenso. Sottotraccia nello scontro istituzionale in atto c’è il problema della democrazia. La democrazia si fa con il conflitto o senza? E poi, quale conflitto è accettabile e quale no? Quello contrario al green deal può passare.
Invece quello delle libertà sessuali, riproduttive, e contro la violenza di genere? Quello per il diritto di circolazione e di soggiorno? Quello per meno concentrazione di capitale tecnologico e per una maggiore distribuzione delle risorse a persone e comunità? Il conflitto sindacale? Quello per il reddito e per la casa? Quello contro la guerra e per il cessate il fuoco a Gaza? L’Europa si sta interrogando su questi temi cambiando la sua costituzione materiale.
Allora, sulla soglia dell’ottantesimo anno dalla Liberazione dal nazifascismo, nel paese dei manganelli, nella parte di Europa senza guerra ma per il diritto alla resistenza, dall’esilio di Reggio Emilia, ci piacerebbe rivolgere queste domande a tutte le persone e le realtà con cui stiamo costruendo territori di cambiamento. A chi si occupa di casa e a chi di tecnologie, guardando all’incontro nazionale del Social Forum per l’Abitare e al festival di Reclaim The Tech che si terrà a Bologna dal 17 al 19 maggio, da chi fa conflitto sindacale a chi opera nel sociale a chi progetta città diverse, da amministratori ad attivisti, da chi lavora nelle associazioni a chi fa ricerca sociale, da chi agisce nella cultura e fa arte a chi costruisce città accoglienti, a chi continua ad indignarsi, ai ribelli e ai democratici chiediamo:
Dove stiamo andando? Come si afferma un progetto di cambiamento nel conflitto intorno a noi? Come usciamo dall’illusione che tutto andrà bene o, viceversa, che tutto sarà una catastrofe, inventando pratiche ibride dove il conflitto è tra gli elementi che servono al progetto? Come ci riconosciamo in un progetto di democrazia radicale per cui combattere insieme?
Domande molto aperte. É tempo di trovare le risposte o almeno il processo per praticarle unendo oltre Bologna
saperi e approcci diversi. Troviamo il modo di parlarci, anche a distanza, anche se, torniAMO presto.
I 6 di Reggio Emilia
P.S.
Mentre torna Chico Forti ma Ilaria Salis rimane nel carcere di massima sicurezza a Budapest, mentre emerge dalle cronache quanto lo Stato sia sempre un apparato buio di gestione del potere, sorge un’ultima domanda: chi pagherà poi il costo di procedimenti penali farlocchi come il nostro o come quello contro la ONG Juventa, del quale celebriamo il non luogo a procedere?